venerdì 26 marzo 2010

PIETRO INGRAO: " VOTERO' IL PARTITO DI NICHI VENDOLA "







Cento meno cinque.
Fa una certa impressione pensare che Pietro Ingrao sia nato mentre era appena scoppiata la guerra mondiale, la prima, nel 1915 appunto. Martedì prossimo il vecchio leader della sinistra comunista compirà novantacinque anni, la sera dopo verrà festeggiato all’Auditorium di Roma: “Da bambino mi chiamavano Pietrucciu, in stretto dialetto di Lenola, il mio paese natio sulle colline sopra Fondi”. Pietrucciu non ha ancora preso il caffè, è di cattivo umore: “diciamo pure che è incazzato con noi, dice che lo schiavizziamo”, spiega Silvia che tutte le mattine gli fa da segretaria. Ma una volta fatta colazione, Ingrao si rilassa, si siede in poltrona e cominciamo una chiacchierata che parte da Lenin, passa per Stalin e finisce con Berlusconi.

A proposito di Berlusconi, per chi voterà domenica Ingrao?

“Voterò per Emma Bonino naturalmente”

Darà anche un voto di lista?

“Stavolta penso che voterò per il partito di Nichi Vendola, per due ragioni. La prima è che ha fatto una bella politica in Puglia, la seconda perché è gay”

Già che siamo nell’attualità, lei cosa pensa di Berlusconi?

“Penso che è un reazionario di bassa lega. Quindi se non viene liberato il campo dalla sua presenza non vedo facili riscosse. L’impiccio è pesante ma il soggetto che può fare pulizia è ancora tutto da costruire”.

Moriremo berlusconiani, allora?

“Nella mia lunga vita ho vissuto tempi in cui l’Europa era dominata da nazisti in forme impensabili e inaudite, penso ad Auschwitz, eppure da quegli anni cupi e bui è nato quell’evento straordinario che fu la Resistenza. La storia insegna che non ci sono partite chiuse e Berlusconi è assai più debole dei reazionari che sconfiggemmo nel secolo scorso”.

Ma lei vede in campo un avversario in grado di batterlo?

“Sinceramente no, almeno dal mio punto di vista. Io sarò pure antico ma penso ancora che ci vorrebbe un soggetto di classe, l’analisi di Marx per me è ancora valida, il punto chiave è sempre lo stesso: la questione di classe”.

Ma nella sinistra italiana non ne parla quasi più nessuno, lei vede D’Alema o Bersani concentrati sulla questione di classe?

“Ma loro sono dei centristi. Proprio per questo qualche anno fa mi iscrissi a Rifondazione, speravo nella ricostruzione di un soggetto di classe. Purtroppo vedo che la sinistra più di sinistra fa una grande fatica, tutti spezzettati e dunque deboli”.

Continuiamo nella nostra retromarcia, sono sedici anni che Berlusconi è in campo e spesso al governo: come spiega questo fenomeno?

“Lo spiego con la nostra sconfitta, con la fine dell’Urss e del comunismo mondiale e anche del Pci. Di tutto quello che si chiama Movimento operaio e che ha segnato la vita del secolo scorso. Crollato quel mondo, direi quell’argine, tutto è stato possibile. Anche l’emersione di un personaggio come Berlusconi”.

Come definirebbe il suo secolo di vita?

“Il secolo di Hitler, una cosa di quelle dimensioni e violenza non si era mai vista né prima né dopo. Ma anche il secolo di milioni di persone che sono state spinte a scendere in campo e a vincere prove straordinarie. La Resistenza, l’ingresso dei sovietici a Berlino, la bandiera rossa sulla cima del Reichstag. Ecco, per uno come me che era rosso e comunista lo splendore di quell’immagine, di quella vittoria è stata l’emozione più intensa della mia vita. Anche perché si è mischiata col suicidio di quel cane ringhioso che si chiamava Hitler”.

Lei si considera ancora comunista?

“Certo, il mio colore è sempre il rosso”.

Però nella sua vita diverse volte ha criticato aspramente il comunismo realizzato, l’Unione Sovietica?

“Soprattutto dopo il rapporto segreto di Krusciov, quello del ’56 sui crimini si Stalin. Lì ho capito gli errori e gli orrori dello stalinismo, che ha umiliato ed offeso la libertà dei sovietici. Ma ricordo benissimo che molti trai i dirigenti del PCI e tra i militanti non erano affatto convinti della verità di quelle rivelazioni, a cominciare da Palmiro Togliatti. Invece avremmo dovuto essere molto più critici ed audaci nell’innovazione politica. Devo dire che in questo senso si distinsero Giorgio Amendola e Giancarlo Pajetta, i più duri contro Stalin. Peccato però che nel dibattito interno al PCI, sulla questione della libertà di dissenso, fossero i più stalinisti…”

C’è una cosa di cui si è pentito?

“Una su tante: la prima pagina dell’Unità, di cui ero direttore, dedicata alla morte di Stalin nel ’53. Una pagina terribilmente agiografica”.

Roberto Barenghi

La Stampa

Venerdi 26 marzo 2006

6 commenti:

  1. PUGLIA: NICHI L'AMERICANO CON IL PREMIER NEL MIRINO

    L'AVVERSARIO PALESE QUASI SCOMPARE,
    VENDOLA PUNTA OLTRE

    Di Luca Telese




    Nichi Vendola 2.0, l’estetica del ribaltamento contro il mito persistente del berlusconismo. C’è il vento che tira forte, in piazza della prefettura, per la chiusura della campagna elettorale venerdì notte e un grido sarcastico dal palco: "Silvio, vai a fare il nonno!!!!….”. Torni a raccontare la Puglia di Nichi due mesi e mezzo dopo la battaglia delle primarie, e scopri che tutto lo scenario è esploso, amplificato, espanso, si è popolato di messaggi simbolici per la politica nazionale.
    Giri per la Puglia, chilometro dopo chilometro, dietro al candidato “diverso” e un po’ folle, e scopri che Vendola ha cambiato passo, ha portato alle estreme conseguenze la radice che ha prodotto la sua vittoria delle primarie. In primo luogo dal punto di vista quantitativo: non più cinque appuntamenti al giorno ma otto, dieci e a volte persino dodici, fino allo spasimo, fino alla drammatizzazione della propria stanchezza: “Se ci riesco finisco questo comizio, poi dormo dodici giorni” (risate e applausi). E poi, tappa dopo tappa, scopri che la dimensione della battaglia nel tacco d’Italia si è fatta improvvisamente ambiziosa, titanica e terribilmente spettacolare. Rocco Palese, lo sfidante ufficiale del centrodestra, quasi non lo trovi: proprio non lo vedi, se non nei santini e nei manifesti. Uno spirito di carta. Fino a due settimane fa, in campo contro Vendola c’era Raffaele Fitto. Ma da mercoledì scorso è arrivato Silvio Berlusconi, e da allora non se ne è più andato. E’ calato, non solo fisicamente, a Bari. Ma simbolicamente e metafisicamente, in tutta la campagna elettorale. Percorri in lungo e in largo la Puglia, e scopri che questo duello asimmetrico – la carnalità itinerante di Vendola contro l’immaterialità ieratica del presidente del Consiglio – è diventato uno spettacolo di massa. Folla oceanica per la chiusura di Vendola a Maglie (cioè a casa di Fitto). Folla oceanica a Lecce (cioè anche dietro il palco); folla oceanica anche a Bari (cioè ovunque, qualcuno persino arrampicato sugli alberelli), in questa lunga notte in cui si chiude la lotteria di una storia, o di una “narrazione”, come direbbe Nichi. Se vince il leader di sinistra e libertà viene proiettato sulla ribalta nazionale come possibile demolitore del berlusconismo: se perde si sgretola come un prestigiatore a cui non è riuscito il numero più atteso.
    Vendola lo sa, e lo sanno anche i suoi avversari. Ed infatti l’altro paradosso è che sulla scena, in ogni caso, c’è solo lui. Se passi mezz’ora su una qualsiasi radio privata pugliese, senti sempre e soltanto la sua voce. Già, perché Vendola è il protagonista degli spot (pochi) del suo comitato. Ma anche di quelli (tantissimi) dei suoi avversari. Gli spot di Palese, infatti, ripetono a disco rotto una frase del leader di Sinistra e libertà, critica con la sua coalizione. Oppure una sulla sanità. Oppure una sulla Puglia. Insomma, una campagna moderna all’americana – mai vista in queste dimensioni in Italia – una campagna personalizzata e "contro". Lui non solo non se ne dispiace; con un movimento sorprendente, ma tipico della sua carriera, raccoglie l’accusa e la rilancia: “Voi lo sapete: i nemici del cambiamento sono ovunque. Talvolta sono anche nel centrosinistraaaa!”, ripete fra gli applausi a Polignano a Mare. E' lo schema di ribaltamento: Vendola 2.0 è un upgrade sorprendente che ormai si celebra in ogni comizio. E la sfida al presidente del consiglio è il cuore simbolico del nucleo narrativo della campagna elettorale, e strappa risate e lacrime in ogni piazza: “Vedete, noi dobbiamo aiutare Berlusconi…”. Grida isolate: “Noooohh…”. Vendola, serafico: “E invece sì, dobbiamo aiutarlo. In primo luogo ad accettare se stesso. Tanto per cominiciare, a 74 anni, si dovrebbe riposare un po’…” (risate). segue >>>>>>>>>>>>>

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  2. ......Tanto per cominiciare, a 74 anni, si dovrebbe riposare un po’…” (risate). “Sì, perché immaginate la tragedia di quest’uomo che ogni volta che suda si deve rifare il trucco… Vedete, il berlusconismo – grida Vendola – non è solo la malattia di un singolo uomo, ma è la malattia di tutta la nostra società. E’ la malattia di chi si tinge i capelli e si spiana le rughe perché pensa che la bellezza sia solo una perfezione levigata, una cosmesi tutta muscoli e curve!” (boato). “E invece – qui la voce si tende, si arrochisce, diventa quasi un grido – noi ci sentiamo belli perché non siamo perfetti….” (voci: “Siii!”, “vai Nichi!!!!”). “Noi ci sentiamo belli perché siamo tutti diversi!!!. E perché siamo fragili!!! E perché spesso di fronte alle prove della vita, al disagio, ai soldi che non ci sono, a noi ci si spezza la voce nel petto… e ci tremano le gambe! Noi siamo belli perché siamo imperfetti, siamo belli perché ci piacciono i capelli bianchi e le rughe!!!”.
    In tutte le piazze della Puglia Vendola ripete questa, e tante altre parabole rovesciate. Negli ultimi dieci anni non si ricordano politici che strappano applausi esordendo così: “Guardate, ve lo confesso… Ho fatto anche io del disavanzo…. Ho fatto disavanzo io e lo hanno fatto anche Palese e Fitto… Solo che noi lo abbiamo fatto per comprare le pet e le macchine delle risonanze magnetiche!!! Perché abbiamo portato l’elisoccorso e la telecardiologia dove prima si moriva per un infarto!!!! Perché abbiamo tolto le trappole dei topi dalle corsie!!!” (altro boato). “abbiamo preso la Puglia che era il medioevo, il Burundi e l’abbiamo portata nella modernità”. Il gioco del rovesciamento si replica ancora, sempre: “Nella mia legislatura ci sono state molte luci, e anche delle ombre” (e la folla grida: “Nichi noooo!!”). E lui: “Sì, invece: ci sono delle ombre. Perché la strada da fare era tanta, difficile, e perché si impara strada facendo”. Poi, prendendo il toro per le corna: “Voglio ricordare a Silvio Berlusconi, che ha avuto il coraggio di venire da noi a ricordarci delle nostre inchieste – ruggisce – che Sandro Frisullo non è più nella mia giunta dall’anno scorso, quando non era ancora nemmeno iscritto nel registro degli indagati!!” (applausi). “Mentre il ministro Fitto continua a restare al suo posto malgrado sia iscritto da anni nel registro degli indagati, sotto inchiesta, imputato!!!”. Vendola sfida Berlusconi sul terreno garantismo: “Vogliamo esserlo anche noi, sì, garantisti! Ma con i morti di fame! Con chi non ha l’avvocato! Con chi non parla l’Italiano! Con i poveracci che finiscono nelle galere, e non con gli evasori e con gli imputati eccellenti!!”.
    Attraversi la Puglia da un capo all’altro, chilometri su chilometri. In ogni piazza piccola e grande, la rappresentazione di Vendola attira migliaia di curiosi. Palese non fa nemmeno il comizio di chiusura. E’ una sfida strana, una guerra asimmetrica. Dicono: con la poesia si possono vincere le primarie, ma la regione si vince con il consenso. Eppure Vendola parla esplicitamente – è il primo leader di centrosinistra che lo fa – anche agli elettori di destra: “Io so che una parte di loro – dice pubblicamente – voterà per me, pur di dare un segnale. Perché vogliono una classe dirigente diversa. Non si meritano una classe dirigente petulante, intristita e bombarola”. Nel Salento Vendola entra nei paesi raccontandoli. In ogni piazza a metà comizio si interrompe, indica qualcuno, lo chiama per nome, racconta la sua storia. Oppure mostra una foto, evoca un ricordo. Vendola racconta la Puglia alla Puglia, come la propria autobiografia. A Bari, nel cuore della notte cita spiega parabole evangeliche. In ogni città cita con precisione maniacale i dati sull’energia, quelli per la tutela del paesaggio, quelli per gli incentivi ai giovani e alle piccole imprese i kilowatt prodotti con l’eolico......... segue >>>>>>>>

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  3. In ogni piazza corona la sua apologia rovesciata elogiando i diversi: “Sapete quando ho sentito di aver governato bene? Un giorno che in regione è venuto a trovarmi un ragazzo diversamente abile, uno dei diecimila a cui abbiamo portato un computer a casa per liberarli dalle loro prigioni civili…”. Pausa. “Ebbene, quel giorno, quando mi hanno detto che era venuto mi sono preoccupato, pensavo che fosse accaduto qualcosa. Invece – racconta – era venuto perché voleva raccontarmi di persona che con il computer aveva trovato la fidanzata. La fidanzata, capite? E allora voglio dirvi – e di nuovo grida – che non esistono normodotati… Siamo tutti diversamente abiliìììì!!!!”. A Terlizzi, a mezzanotte, nel suo paese, dove c’è la madre e chi l’ha visto crescere, il ribaltamento dei ribaltamenti rispondendo a chi lo ha attaccato imputandogli di non aver fatto abbastanza per il suo paese: “Io non ho fatto per voi quello che potevo, è vero. Perché noi vinciamo contro l’idea e contro la cultura della clientela: perché per me tutti i comuni della Puglia devono essere uguali!!!”. Lo applaudono anche lì, anche mentre dice questo. Se poi lo votano anche, e se poi vince, avendo detto tutto questo, in ogni piazza, l’antiberlusconismo non sarà più una cultura anti. Ma – per la prima volta – un’altra cultura.

    di Luca Telese

    Il Fatto quotidiano

    Sabato 27 marzo 2010

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  4. QUESTO E' UN ALTRO SUD.
    DALLA PUGLIA RIPARTE LA SINISTRA
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    Un patto costituente tra politica e popolo. Alla fine della sua lunga campagna elettorale Nichi Vendola racconta cosa è cambiato e cosa può cambiare ancora per la sinistra italiana. A partire dalla «sua» Puglia.

    Che cosa è in gioco nel voto di domani?

    C’è una differenza sostanziale tra oggi e cinque anni fa. Nel 2005 il punto cruciale era la crisi della destra pugliese, la ribellione al modello feudale incarnato da Raffaele Fitto. Nel 2005 è Fitto che ha perso, io ero un’incognita, una suggestione, una possibilità. Stavolta si vota su di me, sul fatto che quella possibilità e quella suggestione si sono incarnati in un’esperienza e in una narrazione che ha reso la Puglia un luogo particolare, dove nelle istituzioni e nella società si può costruire la controtendenza a tutto quello che rappresenta il berlusconismo. Stavolta è la Puglia il fatto nuovo.

    E’ innegabile però che c’è un grande interesse anche fuori dalla Puglia su di te e la tua storia. Non c’è il rischio di oscurare le pratiche che qui avete provato a costruire?

    Dico sempre che non sono il fenomeno ma l’epifenomeno. Il fenomeno è un Sud diverso da quello degli stereotipi. Il Sud non è soltanto una domanda di modernità e di giustizia sociale. Il Sud è una gigantesca domanda di libertà ed è attraversato costantemente da autentici flussi popolari e libertari. Leggere il Sud con il vecchio paradigma dello «sviluppo ritardato» significa non capire quello che si anima al di là della iconografia livida e mortuaria che si offre di questa parte d’Italia. Dal 2007 la Puglia guida saldamente l’economia del Sud e ora inizia a competere con quella del Nord. L’abbiamo fatto aprendo partite inedite ed epocali come quella con l’Ilva per l’abbattimento delle emissioni di diossina.

    A proposito di Nord/Sud. Il successo della Lega alle regionali cosa cambierebbe per l’Italia?

    Si aprirebbe un esito drammatico. L’inchiostro dei decreti delegati che tradurranno il federalismo fiscale in tabelle e parametri con cui garantire servizi essenziali rischia di portare a una secessione materiale, dissimulata ma effettiva. Il problema del Sud è ragionare come macro-territorio, fare istema, perfino essere una lobby. Anche il sistema informativo meridionale è totalmente subalterno a quello del Nord.

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  5. Nel tuo libro-intervista con Cosimo Rossi dici che «la domanda fondamentale della politica non è più ‘che fare?’ ma ‘chi fa cosa?’». Che vuol dire? Chi ti critica, per esempio, dice che questo è populismo di sinistra.

    Dopo il ‘900 il tema del soggetto politico non possiamo più rimuoverlo. Allora definire «chi», sperimentando anche forme di «connessione sentimentale» con un popolo, è decisivo. Nel Pd è un problema evidente. Che cos’è il Pd? Chi è il Pd? Il fare invece riguarda la credibilità dell’agire politico. Nel moderatismo della sinistra c’è una scissione importante tra il dire e il fare. La sinistra spesso fa allusioni senza conseguenze. Le campagne elettorali sono tutte di sinistra ma appena finite prevale subito il realismo di corto respiro. Contro tutto questo, oggi, dobbiamo essere molto sperimentali.

    Che tipo di esperimento sono allora le «fabbriche di Nichi»?

    Sono luoghi politici godibili, che hanno ridotto al minimo il tasso di noia, le gare tra galli che si verificano nei partiti-pollai e la dinamica passiva che ha berlusconizzato la società italiana.

    Rimarranno o pensi che tramonteranno con la campagna elettorale?

    Lo decideremo insieme, con gli «stati generali delle fabbriche» che convocheremo dopo il voto. E’ un’esperienza troppo nuova e troppo importante per me. E’ la vera chiave di questa campagna elettorale.

    A proposito di «chi», in questi mesi hai lottato con molti protagonisti del Pd. Faccio dei nomi. D’Alema.

    Non ho nessun problema con D’Alema. Il punto non sono le relazioni tra persone ma l’inadeguatezza di tutti i protagonisti a sinistra che possono
    contribuire a mettere in piedi il «cantiere dell’alternativa». Prima delle primarie gli spiegai quello che si vede oggi nelle piazze. Il problema non ero io. Il problema è questo popolo che si riconosce in me. Che è portatore di un’idea di buona politica ed è l’ingrediente decisivo dell’alternativa. Senza questo popolo e senza questa connessione, semplicemente l’alternativa non c’è. Il centrosinistra si è andato spegnendo dentro rituali di palazzo. Dentro formule coalizionali o improvvisazioni politicistiche. Per il processo di alternativa abbiamo bisogno invece di uno straordinario patto costituente tra un progetto politico e un popolo. La litigiosità dell’Unione era grave perché figlia di una concezione autoreferenziale di ciascuno e povera della consapevolezza generale che il patto fondamentale non è tra partiti ma tra i partiti e il popolo, soprattutto i giovani. E’ un patto di futuro.


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  6. Il sindaco di Bari Michele Emiliano.

    Ha detto delle cose importanti. Ha dichiarato la sua ammirazione per la mia capacità di perdonare nonostante tutto quello che mi è stato fatto per mesi.

    Il tuo ex vicepresidente Sandro Frisullo che attualmente è in carcere.

    Sono ovviamente turbato da questa vicenda, tuttavia ho un grande rispetto per la magistratura e penso ci siano garanzie sufficienti per potersi difendere.
    Francamente, con tutto il dolore, la comunicazione tra noi si è interrotta il 5 luglio dell’anno scorso.

    Un tuo successo sarebbe un salto di qualità per Sel ma anche per la sinistra. Come vedi il tuo futuro politico? Escludi un salto in alto oltre la Puglia?

    Piuttosto che parlare di me spero si parli di quello che è accaduto qui. Non lo dico per eludere la questione. Se questo è un laboratorio lo è per ragioni sociali e politiche. Allora guardiamoci dentro. Quello che farò da grande non è rilevante. Chi ha visto da vicino questa campagna elettorale forse lo può capire: è stata un intreccio tra una storia politica e una storia d’amore. Almeno io la vivo così, e mi ha dato la forza di sopravvivere al tentativo di macchiare la mia persona e di coinvolgermi in cose impensabili per chi conosce la mia storia.

    Matteo Bartocci

    Fonte: Il Manifesto

    Sabato 27 marzo 2010

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