
«L’aggiustamento di cui parla Bersani? Se sono furbizie non portano da nessuna parte»
Nichi Vendola deve averci pensato a lungo durante il suo «viaggio americano». E così, rientrato in Italia – e quasi parafrasando Primo Levi – chiede: se non ora, quando? «Questo è il momento in cui la sinistra – dice – deve smettere di percepire se stessa come un problema e non come, invece, la soluzione al problema; questo è il momento, soprattutto, in cui dovrebbe uscire fuori dal Palazzo; questo, insomma, è il momento giusto per le primarie, indipendentemente dalla vicenda del voto di fiducia e dalle sorti del governo. Infatti è ora che la sinistra alzi la testa e dica all’Italia che ha la forza per costruire una nuova speranza: e che non ha paura delle sue ragioni». E lo dica, appunto, in una grande, lunga e partecipata campagna di primarie.
L’idea farà discutere, incontrerà resistenze e naturalmente dividerà: soprattutto perché a proporla è lui, Vendola, pronto a scendere in campo contro Pier Luigi Bersani e dato in vertiginosa ascesa da ogni sondaggio. La proposta nasce da un’analisi della situazione che è assai diversa da quella del Pd: ed è argomentata con la fascinazione che ormai segna ogni ragionamento del popolare governatore di Puglia. In questa intervista, dunque, Vendola ne illustra il senso: lanciando messaggi – dalle primarie di Milano agli agognati governi tecnici – non sempre di pace verso il Pd e il suo segretario.
Lei dice: facciamo le primarie subito e comunque. Perché?
«Perché vedo una situazione che si avvita. Prima c’è stato un panico trasversale di fronte all’idea di elezioni anticipate; ora il panico riguarda la prospettiva di un Berlusconi-bis e di un galleggiamento nella melma per tre anni. La paura è nemica della sinistra: e la sinistra, allora, deve finalmente diventare nemica della paura. Per farlo bisogna uscire dalle logiche di Palazzo, riagganciare la vita della gente e i problemi veri della società: con un grande processo che è un lungo discorso, un programma partecipato sul cambiamento di questo Paese. Dico primarie perché non conosco un altro strumento. Non ho il mito delle primarie: ma in un processo di cessione di sovranità da parte dei partiti e di dissequestro della politica come bene comune, io credo che il centrosinistra possa ritrovare l’anima e la forza per vincere».
Le verrà obiettato che chiede che le primarie si svolgano subito perché teme che la sua candidatura possa «sgonfiarsi» se i tempi si allungano troppo: come risponde?
«Io non vivo questa vicenda come l’episodio centrale del mio percorso: ma quando ti accade che in ogni angolo d’Italia – e non solo d’Italia – gente di ogni ceto sociale ti indichi come una speranza, allora sento il dovere di fare la mia parte, di dare il mio modesto contributo. E vorrei chiarire una cosa una volta per tutte: non c’è nessun minoritarismonelle cose che dico e che propongo, e non sopporto più la definizione di sinistra radicale. Sono stufo di perdere bene: è venuto il momento di vincere bene».
Lei chiede primarie subito proprio mentre Bersani, dopo il voto di Milano, vede invece la necessità di un «aggiustamento» di questo strumento. Ne sapeva niente? E’ preoccupato?
«Non ne sapevo niente ma non mi preoccupo. Non mi preoccupo perché può darsi che di tratti di un pensiero giusto: per esempio l’idea che, una volta in campo i candidati per una bella gara, si eviti la militarizzazione della sfida. A Milano è stato battuto chi ha dato, appunto, un carattere quasi militare alla contesa. Quando ci sono bei candidati in campo, si può puntare con serenità su quella che chiamo la saggezza della nostra gente».
E se non fosse questo l’«aggiustamento» cui pensa Bersani?
«Se si trattasse di accorgimenti e furbizie per pregiudicare il risultato, io comunque non mi preoccuperei: viviamo un’epoca in cui la furbizia non porta da nessuna parte. Ma non posso nemmeno immaginare che sia questo l’approccio a uno strumento vitale e per noi importante come le primarie».
E’ chiaro, comunque, che la formalizzazione della crisi aiuterebbe non poco la sua corsa e i suoi progetti, no?
«Guardi, io sono tra quelli che non sopportano più la genericità retorica delle formule che vengono adoperate guardando alla crisi del Paese: questa crisi non può essere un pretesto per operazioni iperpoliticistiche. Non c’è una guerra tra le forze politiche: c’è una guerra tra la destra e il Paese reale. E’ una guerra che si chiama povertà, precarietà, che ha il volto di provvedimenti di autentica crudeltà sociale».
Magari il quadro che lei fa è un po’ drammatizzato…
«E’ vero o no che la destra ha portato il Paese in una situazione di declino? Se è così, è di questo che bisogna discutere ed è su questo che bisogna schierarsi e dire una parola definitiva: non sui vizi e i vezzi di Berlusconi, ma sul ciclo del berlusconismo. E invece mentre le destre discutono di se stesse e del loro futuro e mentre il centro discute di se stesso e prova a riorganizzarsi, la sinistra discute del centro e della destra: fino a coltivare l’idea – che mi pare più frutto di disperazione che di lucidità – di un’alleanza con Gianfranco Fini. Basta. Per la sinistra è il momento di uscire dal Palazzo e smettere di percepire se stessa come un problema. Ed è per questo che insisto: il momento giusto per le primarie è arrivato. Ed è questo».
Federico Geremicca
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